LA FORTUNA AIUTA GLI AUDACI
Diventare traduttori: un pizzico di fortuna… ma il traguardo è dei tignosi.
Diventare traduttori richiede passione e tradurre è sempre stato il mio sogno, sin da bambino. Volevo raccontare il Giappone e offrirlo così com’era, nudo e crudo, ai lettori italiani. Per poter arrivare a ciò era necessario tutto un percorso a monte che ha richiesto tempo, costanza e determinazione. Sicuramente anche un pizzico di fortuna, ma più di ogni altra cosa una sconfinata passione. La fortuna aiuta gli audaci, e certamente non guasta mai. Il treno potrebbe passare per chiunque, anche un po’ per caso, tuttavia se la materia prima scarseggia quel treno a vapore che si ciba di risorse non riuscirà ad alimentarsi a lungo, e ben presto finirà per arenarsi su un binario qualsiasi, abbandonato e dimenticato dal mondo. Ma soprattutto abbandonato da noi stessi nel nostro cassetto dei “tentativi falliti”. Un fuoco di paglia, insomma.
Diventare traduttori richiede anche tanta pazienza. Avere basi solide è il presupposto per mollare gli ormeggi e salpare. Lavorare sodo per ottenerle, è l’inizio del viaggio. Ci vuole tempo per acquisire un bagaglio di conoscenze linguistiche sufficienti, ci vuole tempo per impratichirsi con il lavoro e ci vuole tempo per farsi conoscere e farsi apprezzare. Io ho cominciato a tradurre più di dieci anni fa. All’inizio erano piccoli lavori senza seguito, e nella maggior parte dei casi anche piuttosto noiosi e ripetitivi: manuali di istruzioni, lettere di incarico, contratti, questionari… Insomma, un genere assolutamente rispettabile, al quale però non sono mai riuscito ad appassionarmi.
In termini prettamente economici, per me era poco più di un extra a tempo perso: traducevo volumi irrisori e comunque la paga era quello che era. Dovevo mantenermi (a Tokyo) e come tutti avevo bisogno di una certa sicurezza economica, quindi mi sono dedicato per diversi anni ad altri lavori decisamente più “stabili” e volendo più redditizi. Poco alla volta, però, e sempre a “tempo perso” (leggasi: “di notte invece di dormire”, perché con un impiego fulltime in un’azienda giapponese non è che ti rimanga molto tempo per il resto) ho iniziato a ricevere incarichi da traduttore un attimino più accattivanti dei manuali di istruzioni. Articoli di cultura, guide turistiche, canzoni. Questi lavori, valutati complessivamente in maniera positiva, hanno generato un minimo di passaparola.
Anche le mie esperienze lavorative aziendali, così come il mio network di relazioni personali, hanno contribuito a preparare il salto che sarebbe stato fondamentale per il futuro, ossia l’attuale presente, e così un bel giorno anche per me è passato il famoso treno. Mi è stato proposta la traduzione di un romanzo. L’occasione di una vita, la cosiddetta “botta di culo”, excuse my French. I tempi erano maturi: avevo gli strumenti, sufficiente esperienza ma soprattutto passione e una inesauribile voglia di riuscire. Così, le mani un po’ tremanti per l’emozione, ho messo in valigia tutto quello che avevo imparato nell’arco di circa dieci anni e ho ingranato la prima. Poi timidamente la seconda, quindi la terza. Poi ho mollato gli ormeggi, sono uscito in autostrada e adesso guai a chi mi ferma.
Io non sono nessuno. Sono ancora giovane, ancora relativamente nuovo in questo mondo e ho una montagna di cose da migliorare, imparare e correggere. Ma qualcosina la so, e agli aspiranti traduttori, quelli che hanno il fuoco che brucia dentro, vorrei dire di non scoraggiarsi. Serve tantissima pazienza e solide competenze, ma è la passione a fare la differenza tra chi si limita a consegnare un lavoro, e chi invece da via all’editore una traduzione come fosse un appendice del proprio corpo. Se si è stati in grado di gettare solide basi con perseveranza e dedizione, prima o poi il treno arriva. Il problema è che nella maggior parte dei casi gli aspiranti traduttori non sono disposti ad attendere il momento giusto e rinunciano prima. Posso capirne le ragioni, è stato lo stesso per me, ma quando si desidera davvero una cosa, gettare la spugna non è mai un’opzione.
Il peso dell’autorità di chi ha tradotto il Giappone prima di me e il mio senso di inadeguatezza mi avevano quasi convinto a desistere, ma al tempo stesso hanno anche funzionato da incentivo a crescere, a continuare a studiare, sperimentare, tentare sempre. Insoddisfatto e scoraggiato, tante volte ho pensato di rinunciare, ma nel lungo periodo è stata la pazienza (e la tigna!) a esser premiata. A questo punto mi correggerei: la fortuna aiuta gli audaci, ma solo i tignosi arrivano al traguardo.
C’è voluto del tempo, ma il sogno alla fine si è avverato.