In questo post racconterò come avviene la ricerca del lavoro in Giappone. Conoscendo nel dettaglio l’efficienza di questo sistema si può capire perché il tasso di disoccupazione giovanile giapponese sia tanto basso. Racconterò cosa significhi per un giapponese neolaureato cercare un lavoro, e in cosa consista questo percorso che porta alla lettera di assunzione. Non mancherò di includere anche alcune mie riflessioni personali sui risvolti più oscuri di questo processo, che ho avuto modo di sperimentare in prima persona. Premetto che esistono anche altre modalità, meno estreme e più “internazionali”, di cercare lavoro in Giappone ma in questa sede parlerò dell’iter considerato “standard”. Buona lettura!
I numeri dicono tanto (ma non tutto)
Tanto per cominciare, un’occhiata ai numeri. Disoccupazione giovanile tra il 3.6% e il 3.8% a fronte di un tasso generale di disoccupazione nazionale che oscilla intorno al 2.4% (2019). Ergo: in Giappone c’è lavoro, e pure parecchio. Ma forse non si tratta solamente di quantità di posti di lavoro: l’alto tasso di occupazione va interpretato anche in funzione del peculiare sistema di recruiting. La ricerca del lavoro in Giappone avviene infatti secondo un sistema tanto rigido quanto efficiente.
Come inizia la ricerca del lavoro in Giappone?
La ricerca del lavoro in Giappone non consiste solamente nello stampare decine di CV e distribuirli tipo stelline ninja alle aziende, oppure spammare l’indirizzo e-mail delle risorse umane indirizzandosi a chi di competenza e attendere “la chiamata”. No. Tanto per cominciare bisogna creare un profilo su determinati motori di ricerca specializzati nella raccolta di inserzioni di lavoro, come Rikunabi, Mynavi, Recruit o Indeed solo per citare i più famosi. Questi motori di ricerca raggruppano le offerte di tutte le aziende (principalmente giapponesi ma non solo), che assumono sul territorio nazionale. I suddetti motori di ricerca sono praticamente gli unici luoghi da cui è possibile accedere alle inserzioni di lavoro per alcune specifiche aziende, tra cui i grandi colossi.
Ricerca del lavoro in Giappone: le tempistiche
Una volta creato il proprio profilo accademico e all’occorrenza professionale (questo nel caso di un chūtosaiyō 中途採用, ossia di un cambio di lavoro) si è in grado di iniziare il processo di ricerca. Qui è necessario porre il primo asterisco: diversamente dall’Italia, la ricerca del lavoro in Giappone massiccia, quella in cui viene assegnato il grosso dei posti disponibili, non avviene durante tutto l’arco dell’anno. Le cose stanno cambiando di anno in anno, ma ancora esistono delle stagioni di reclutamento stabilite a livello nazionale i cui termini sono piuttosto rigorosi. Senza menzionare poi il fattore età. Chiaramente c’è chi prosegue gli studi universitari di base e frequenta master, dottorati di ricerca e così via, ma a onor del vero la maggior parte degli studenti universitari giapponesi inizia a lavorare immediatamente dopo il Bachelor. Quindi anche l’età dei partecipanti al processo di selezione è piuttosto omogenea, e oscilla tra i 20-21 anni.
Durata del processo di ricerca del lavoro in Giappone
Perché? Il processo di ricerca di un lavoro (il cosidetto shūshokukatsudō 就職活動 abbreviato per praticità in shūkatsu 就活) non inizia in coincidenza con la laurea, bensì circa un anno e mezzo prima della laurea stessa. L’anno accademico inizia in aprile e in linea di massima tutti gli studenti giapponesi si laureano a fine marzo, al termine del quarto anno di iscrizione. Non esistono in linea di massima eccezioni a questa regola. Dunque, lo shūkatsu inizia in genere verso l’autunno del penultimo anno di università (il terzo, quindi) e prosegue fino alla primavera inoltrata (in alcuni casi anche giungo, luglio) dell’anno seguente. Se tutto va bene il processo dura circa 5-6 mesi e corrisponde al periodo a cavallo tra il terzo e il quarto anno accademico. Al termine di questo processo, verso maggio o giugno, si sarà ottenuto un lavoro il cui inizio è previsto per il primo aprile dell’anno seguente, in modo da iniziare a lavorare praticamente il giorno successivo alla laurea, aenza pause. Insomma, tirando le somme, da quando si inizia a cercare un lavoro a quando si inizia effettivamente a lavorare passano circa sedici mesi. Di questi sedici mesi, circa sei vengono dedicati completamente alla riuscita dello shūkatsu e i restanti dieci servono ufficialmente a terminare gli eventuali esami e a scrivere la tesi. Ma la verità è un po’ diversa: in genere ne approfittano tutti per godersi un po la vita, consapevoli che una volta diventati shakaijin 社会人(letteralmente “persone della società”, ossia lavoratori) le cose cambieranno nettamente.
Lo shūkatsu, passo per passo
Vediamo più da vicino in cosa consiste lo shūkatsu, ossia il processo di ricerca del lavoro in Giappone. “Si tratta di fare colloqui di lavoro, no?”, direte voi. Piano, non c’è fretta… procediamo con calma. Anzi, il colloquio in sé è forse l’ultima tappa del processo. Innanzitutto bisogna selezionare le aziende di interesse tramite i motori di ricerca menzionati precedentemente.
Setsumeikai: le giornate di presentazione
Come prima cosa ci si deve iscrivere alle setsumeikai 説明会 (giornate di presentazione delle single aziende) e inizia così il processo. Si partecipa alla setsumeikai dell’azienda X insieme a tutti gli studenti (rigorosamente tutti nella stessa fascia di età) provenienti da tutto il Giappone, interessati a essere assunti da quella azienda. L’iter può cambiare a seconda dell’azienda, ma in linea di massima segue, dopo la setsumeikai, un test della personalità.
I test scritti
Immaginate un aula piena di studenti (tutti rigorosamente in giacca e cravatta o in tailleur) che ascoltano una voce registrata leggere tre domande al minuto per un totale di circa cinquanta questiti (il tutto in giapponese ovviamente) alle quali rispondere scegliendo “Mi riguarda”, “Mi riguarda poco”, “maancheno”, ecc. In un’altra giornata, o anche durante la stessa, a volte, si viene sottoposti al test scritto: SPI. Tre materie principali vengono testate: giapponese, calcolo e logica. Chi supera i test scritti (idoneità al test psicologico e all’SPI) accede alla fase di selezione del curriculum e di eventuali altri documenti (lettere motivazionali, ecc) richiesti da azienda in azienda.
Il CV in Giappone: modalità di compilazione e contenuti
… questa è la parte che preferisco: il CV (o rirekisho 履歴書). Quando racconto di questa usanza agli stranieri, rimangono sempre tutti abbastanza di sasso. Il CV per la ricerca del lavoro in Giappone deve essere rigorosamente a mano compilando l’apposito formato e spedendito per posta ordinaria. È d’obbligo allegare la propria fotografia (che deve rispondere a determinati standard) e i contenuti da inserire, come indicato nel template, riguardano: 1) il proprio percorso di studi, 2) le certificazioni che si posseggono, 3) hobby e interessi, 4) la propria motivazione al lavoro e uno spazio in cui promuovere se stessi per la posizione in questione. Questo è il modulo di base per tutti, specialmente i neolaureati privi di esperienze lavorative. A parte, invece, per chi stesse cercando di cambiare lavoro, esiste un altro form chiamato shokumu keirekisho 経歴書 in cui bisogna elencare nel dettaglio le esperiene lavorative pregresse.
La sfilza di colloqui fino alla “promessa di assunzione”
Se anche questo step viene superato si accede alla fase dei colloqui. Prima di gruppo, poi individuali, per un totale di circa tre o quattro sessioni in tutto. Il superamento dell’ultimo colloquio con i mega vertici in genere determina il “sì” o il “no” per l’assunzione. Per essere precisi, il naitei 内定(“decisone interna”, una promessa informale di assunzione, che viene formalizzata in un secondo momento). Moltiplicate ora tutto questo processo per almeno una trentina di aziende (il numero di aziende che gli studenti giapponesi selezionano in media per essere certi di ottenere almeno un naitei), ecco che i sei mesi di shūkatsu sono una griglia fitta fitta di impegni, tanto da poter considerare la ricerca del lavoro in Giappone un vero e proprio lavoro a tempo pieno di per sé.
Luci e ombre dello shūkatsu
Il sistema della ricerca del lavoro in Giappone, nella sua innegabile complessità, presenta luci e ombre. Può essere tacciato di eccessiva severità e rigidità (e lo è, garantisco!) ma d’altro canto è un metodo efficiente che 1) smuove l’economia nazionale in maniera considerevole (l’abbigliamento per lo shūkatsu, il trucco per lo shūkatsu, le spese di trasporto fino alle sedi delle aziende da tutti gli angoli del Paese, i pasti consumati fuori casa, l’acquisto dei CV da compilare e dei manuali di preparazione all’esame scritto, e così via) e che 2) garantisce quasi con certezza a tutti i neolaureati giapponesi di ottenere un posto di lavoro, discretamente retribuito e con concrete prospettive di assunzione a tempo indeterminate.
Un sistema efficiente ma non perfetto.
Vorrei aprire una parentesi relativamente al quasi di qualche linea in alto. Purtroppo il sistema non è perfetto al 100% e ovviamente buona parte dell’esito del processo dipende dai singoli candidati, un aspetto che il sistema per la ricerca del lavoro in Giappone non può controllare fino in fondo. Una percentuale, seppur minima, di studenti non esce vincitrice dalla battaglia efferata dello shūkatsu. I mesi passano senza ottenere il tanto agognato naitei e la stagione di reclutamento si conclude con un insuccesso. Lo studente che non ottiene alcun naitei entro luglio, non ha altra scelta se non attendere dicembre e ricominciare da capo l’intero processo, perdendo un anno rispetto ai suoi coetanei e diventando ryūnensha 留年者 (ossia coloro i quali non hanno trovato un lavoro nei tempi prestabiliti e al contempo non essendo più studenti “perdono il treno” rimanendo temporaneamente incastrati in un limbo scomodo). Un processo più o meno standard per l’italiano medio “fuori corso”, ma decisamente raro e poco auspicabile in Giappone.
Risvolti drammatici della ricerca del lavoro in Giappone
Esiste un risvolto drammatico – e uno ancora più drammatico – a tutta questa vicenda. Il ryūnensha, nei mesi di attesa prima della nuova stagione di reclutamento è tenuto comunque a tornare in università per continuare la tesi e il resto delle pratiche. Presentarsi sconfitti in università può essere molto difficile. Tra gli studenti di quell’età, nei mesi successivi alla fine dello shūkatsu, l’argomento più comune è proprio dove si lavorerà dall’aprile dell’anno seguente. Non avere ottenuto un posto di lavoro è una verità dolorosa, complicata da accettare e da confessare, all’interno di una società omogenea che si muove insieme e che tiene in grande considerazione i vari step della vita, traguardi da raggiungere al momento opportuno. Convivere con un fallimento del genere porta la maggior parte dei ryūnensha a evitare il discorso e quindi a nascondersi dalla società. I più ottimisti dopo un periodo di comprensibile abbattimento si riprendono e tornano sul campo di battaglia l’anno seguente. I più negativi, purtroppo, non vedono via d’uscita e incappano in problemi di consistente spessore come depressioni e fobie. Altri, una minoranza per fortuna, lasciano questa vita per sempre.
La ricerca e l’ottenimento di un posto di lavoro rappresentano un punto cruciale della vita di ogni giapponese, che corrisponde al passaggio dalla precedente condizione di “studente” a quella di “persona della società”. Raggiunto questo nuovo status, sulle spalle dell’individuo viene scaricata una serie di nuovi obblighi e responsabilità. L’indipendenza economica reca con sé certamente il godimento di un nuovo assetto di privilegi, ma nel complesso sono più i doveri che i diritti. O meglio, più i doveri che i piaceri. Il processo di ricerca del lavoro in Giappone, lo shūkatsu, potrebbe essere paragonato a un rito di iniziazione a tutti gli effetti, il quale sancisce per ciascun giapponese la promozione (o la bocciatura) al gradino successivo della “scala evolutiva” in quanto animali sociali all’interno della società giapponese.
Qui trovate il link alla prima LIVE di Instagram sul tema “La ricerca del lavoro in Giappone” insieme alla mitica Fabiana Andreani, esperta in orientamento al mondo del lavoro e carriera.
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