Il Capodanno in Giappone
Il Capodanno in Giappone mi piace molto, prima di tutto perché ti sottrae da quella tassa fissa di: “Che fai a Capodanno?”. Se in Italia si dice “Natale con i tuoi, Capodanno con chi voi”, in Giappone vale la regola opposta.
Il Capodanno è la festività giapponese di fine anno più importante. Quella, per intenderci, che si trascorre a casa con la famiglia. Il Natale, invece, è una giornata che spazia dal trash più spudorato di mega abbuffate tra amici a base di pollo fritto KFC, alla cena iper-chic nel ristorantino giusto con la dolce metà (magari in attesa di una proposta di matrimonio!).
Proprio perché il Capodanno in Giappone è una festa della famiglia, per molti stranieri non è scontato sperimentare il Capodanno giapponese tradizionale. Io, grazie al fatto di essere stato fidanzato con un ragazzo giapponese, ho avuto questa fortuna e vi voglio raccontare un po’ come è stato per me.
Fuori il vecchio, dentro il nuovo
I giapponesi, quando si avvicina la fine dell’anno, entrano in pieno mood Cenerentola e iniziano a “sistemare” come tante formichine allucinate. Sistemare il vecchio per prepararsi all’arrivo del nuovo. Loro non hanno le grandi pulizie di primavera, bensì quelle di fine anno (年末の大掃除, nenmatsu no ōsoji). Sistemano gli oggetti e sistemano anche il lavoro: lo “mettono a posto” (仕事納め, shigoto osame). Quando si avvicina la fine dell’anno, tutti in azienda (e non solo) si sbrigano a chiudere i progetti lasciati a metà, nella speranza di iniziare il nuovo anno a tabula rasa (ma raramente ci si riesce, è una chimera dei tempi moderni).
L’esodo dalle città alla periferia
Tutta questa corsa a “sistemare il lavoro” è mirata al poter lasciare serenamente la grande metropoli per tornare qualche giorno al proprio paese d’origine (帰省する, kisei suru). Si fa ritorno alla propria casa d’infanzia (実家, jikka) in cui vivono ancora i genitori, e ci si riunisce con la famiglia per trascorrere insieme quanto meno la vigilia di Capodanno (大晦日, ōmisoka) e il primo dell’anno(お正月, o-shōgatsu).
Passatempi di Capodanno
L’ultimo dell’anno non è accompagnato da vibranti fuochi d’artificio come in tutto il resto del mondo (“Che cosa? A Capodanno sparate i botti?!” Cit. Ex ragazzo giapponese), bensì da tanta quiete e silenzio. E un immancabile programma televisivo, “Kohaku Utagassen” (紅白歌合戦), che ricorda un po’ il nostro Festival di Sanremo per la parte canora, ma consiste nella gara tra due squadre (i Bianchi e i Rossi, due colori propizi e di buon auspicio) a suon di performance musicali. Il pubblico sovrano stabilisce con il televoto la squadra vincitrice. Attesissima l’esibizione sempre pazèska di Ishikawa Sayuri con la sua intramontabile “Amagigoe” (天城越え) o “Tsugarukaikyō Fuyugeshiki”(津軽海峡・冬景色). Adoro con tutto me stesso la bufera di cotone, coriandoli e polistirolo che puntualmente la avvolge come una musa delle nevi.
Un altro passatempo tipico del Capodanno in Giappone è il gioco karuta (かるた). Come lascia intendere il nome, è qualcosa che ha a che fare con le cartema non ha nulla a che vedere con la nostra briscola, sette e mezzo, bestia o quant’altro. Si può giocare a karuta in svariati modi, ma quello che noi abbiamo sempre fatto a Capodanno prevedeva l’accoppiare le carte di un mazzo in cui c’era scritto un proverbio all’altro mazzo in cui c’era un immagine che corrispondeva alla descrizione. Adoro, e ho imparato tantissimi proverbi!
Lenticchie, cotechino… o forse no.
Il menù del periodo di Capodanno non è casuale, si mangiano pietanze ben precise. Verso novembre si cominciano a vedere in giro per la città sulle vetrine dei ristoranti scritte del tipo “Accettiamo ordini per i vostri o-sechi ryōri”(お節料理). Avete presente quelle scatole quadrate di resina laccata, accatastabili l’una sopra l’altra? Ecco, quelle. Il contenuto degli o-sechi ryōri può variare a seconda delle regioni, ma di base è sempre un set di pietanze considerate di buon auspicio, con dei significati precisi.
Per fare qualche esempio: i fagioli dolci e non (diligenza e frugalità), la radice di loto (che con i suoi buchi si dice porti fortuna perché lascia intravedere il futuro e lo rende più radioso), il kazunoko (数の子), una sorta di caviale che con le sue mille uova minuscole si dice porti salute e prosperità a figli e nipoti, ecc…
E poi, diciamolo, sono cibi anche molto pratici. Li si prepara (compra, più che altro) impiegando molto tempo, ma trattandosi per lo più cibi che resistono qualche giorno non ci si deve alzare mai più da kotatsu (il tavolo riscaldato sotto), che è una meraviglia ma crea dipendenza, e ci si può ingozzare fino allo sfinimento.
Ma attenzione a lasciare uno spazietto per la soba di mezzanotte, la toshi-koshi soba (年越し蕎麦), ossia la ciotola di soba che si risucchia a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno in segno di augurio e prosperità. Gli spaghetti di soba, infatti, lunghi e sottili, simboleggiano un’esistenza longeva ma non molto intensa (細く長い人生). Mah, vado matto per la soba, ma non so se sono d’accordo con questa filosofia di vita opposta agli udon, corti ma spessi (太く短い). Ironico, perché gli udon invece non mi fanno impazzire.
Iniziare a pancia piena…
Il primo dell’anno comincia a bomba con la colazione tipica del Capodanno giapponese. Si chiama o-zōni (お雑煮) e consiste in una zuppa con verdure e il tipico tortino di riso mochi ammollato dentro. Anche questo è un piatto di buon auspicio per l’anno nuovo il cui significato risale al codice guerriero. La frase “innalzare il proprio nome”(名を持ち上げる), infatti, con un gioco di parole potrebbe essere letta anche così: “donare verdure e mochi”(菜を餅上げる).
…e pieni di buoni propositi
Terminata la colazione si procede ai buoni propositi dell’anno nuovo. Si scrive il proprio kakizome (書き初め), il concetto guida per l’anno incipiente, una frase, quello che si vuole, su un foglio bianco come vuole l’arte calligrafica tradizionale giapponese dello shodo. E poi li si appende in cucina, proprio come facciamo noi con i tanto amati scarabocchi che i bambini portano a casa dall’asilo (almeno, così ha fatto la madre del mio ex… all’inizio ero scarsissimo, e vedermelo attaccato al muro della cucina tutte le volte cheandavamo per un anno mi faceva puntualmente morire di imbarazzo).
Poi siamo andati a fare visita al santuario vicino casa. La prima visita al santuario dell’anno si chiama hatsumōde (初詣). In molti pensano che la prima visita dell’anno si debba necessariamente svolgere in un jinja, santuario (shintoista), ma a quanto pare vale anche per gli o-tera, i templi (buddhisti). È indifferente, basta andare e pregare.
Tra l’altro, noi che siamo stati sempre pigri, abbiamo visto il conteggio dei rintocchi della campana joya no kane (除夜の鐘) alla mezzanotte del 31 dicembre in TV, ma parecchia gente accoglie la mezzanotte direttamente al tempio.
Eat, sleep, relax… REPEAT!
E poi si mangia, si dorme, ci si rilassa, si guarda la TV… and repeat. Questo è stato il mio Capodanno giapponese per tre anni consecutivi. A volte capitava che tornassi in Italia per Natale e poi rientrassi in Giappone appositamente per Capodanno, e con questo stratagemma mi beccavo la doppia vacanza tradizionale.
La magia delle feste dura poco, qualche giorno di riposo e poi tutti di nuovo a mandare avanti l’ingranaggio. Ma credo che le vacanze di Capodanno siano forse gli unici giorni dell’anno in cui i giapponesi si riposano davvero, e per una volta mettono giù la penna.